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Nave recupero Artiglio
La storia della nave e il suo modello

Articolo pubblicato dal trimestrale di scienza e tecnica n. 41 e 42  / 2016
L'HOBBY DELLA SCIENZA E DELLA TECNICA
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Prima parte

Questa volta vi parlo dell’Artiglio, una nave che seppe dimostrare l’inventiva e le capacità italiane.
Per farlo utilizzo il bellissimo modello navigante di Mario Ranieri.
Mario descrive, con molta cura, la costruzione del modello sul sito www.modellisti3.com.
In queste pagine io utilizzo materiale estratto da quel sito e approfitto dell’occasione per aggiungere alcune considerazioni di carattere generale che possono essere utili a chi costruisce modelli navali.
L’argomento è molto vasto e, anziché “mutilarlo”, preferisco suddividerlo in due parti.

Da quando l’uomo ha cominciato a solcare il mare, le navi hanno iniziato, purtroppo, anche ad affondare. A volte per cattivo tempo o incidenti, troppo spesso a causa di conflitti.
Già durante la prima guerra mondiale lo sviluppo dei sommergibili causò numerosissimi naufragi con tante perdite di vite umane e di carichi sovente preziosi.
Fu proprio per recuperare questi materiali che nel 1926, su iniziativa del commendator Giovanni Quaglia nacque, a Genova, la SO.RI.MA (Società Recuperi Marittimi).
La sua piccola flotta era costituita da ex pescherecci o piccole navi militari opportunamente trasformate. Con l’Artiglio, nave ammiraglia, c’erano il Rostro, il Raffio e l’Arpione.
La nave, costruita a Glasgow nel 1906 e destinata alla pesca delle aringhe, fu in seguito requisita dalla Royal Navy che la trasformò in dragamine. Alla fine, ridotta in pessime condizioni, fu acquistata dalla SO.RI.MA.
Il nuovo armatore la rimise in perfetta efficienza e la dotò delle più moderne attrezzature subacquee disponibili sul mercato. La capacità operativa era comunque limitata alla profondità di una cinquantina di metri.
La SO.RI.MA., oltre che un proprietario di larghe vedute, aveva ottimi equipaggi. Fra questi i migliori palombari, tutti originari di Viareggio.

Grazie a queste risorse fu possibile sviluppare strumenti più efficienti che consentirono di operare oltre i cento metri di profondità.
Con queste attrezzature fu recuperato il carico del piroscafo Washington, affondato, nel 1917, da un sommergibile tedesco al largo di Camogli. Il relitto si trovava a 93 metri di profondità e conteneva molto materiale metallico pregiato, rotaie, vagoni e sette locomotive.
Questo successo giovò molto alla Società che poté estendere il suo raggio d’azione andando a operare lungo le coste della Bretagna dove si trovavano numerosi relitti.
L’artiglio s’impegnò nel recupero del carico del piroscafo Elisabethville, affondato da un U-Boot, che avrebbe dovuto comprendere un importante quantitativo di diamanti. Questi non furono trovati ma furono, almeno, recuperate 40 tonnellate di avorio.
Poi fu la volta del piroscafo Egipt, localizzato a una profondità di 130 metri. Si trattava di un grosso piroscafo della P&O, affondato in seguito a speronamento, che si sapeva contenere un grosso carico di monete e lingotti d’oro. Quando i palombari dell’Artiglio erano prossimi alla camera blindata, dove doveva trovarsi il tesoro, furono costretti a sospendere i lavori per il sopraggiungere dell’inverno. Erano peraltro certi che non sarebbe stato portato via perché nessun altro poteva operare a quella profondità.
Prima di rientrare in Italia per il periodo natalizio la nave accettò l’incarico di recuperare il carico di esplosivo del piroscafo Florence, affondato al largo di Belle Ile. Il lavoro si rivelò più complicato del previsto e, pur avendo fatto esplodere ben 800 mine per forzare l’accesso alle stive, queste continuavano a resistere. Fu allora deciso di usare una carica più potente ma il cavo di collegamento, notevolmente accorciatosi a causa dei continui reimpieghi, e mancandone uno di ricambio, costrinse l’Artiglio a rimanere a soli 150 metri dal relitto. La mina innescò l’esplosione dell’intero carico bellico e l’Artiglio saltò in aria provocando la morte di diversi membri dell’equipaggio fra i quali i preziosi palombari. In seguito la SO.RI.MA armò, in tutta fretta, un nuovo Artiglio che portò felicemente a termine il recupero dell’oro dell’Egypt.
La costruzione del modello

Questa è la storia della nave ma, adesso, vediamo come l’Artiglio è tornato a navigare, seppure in scala ridotta, grazie al bravo modellista Mario Ranieri, originario di Viareggio come i palombari scomparsi tragicamente. Quando parlo con Mario, percepisco un senso di orgoglio per le capacità dei suoi concittadini misto a tristezza per la loro perdita.
Costruendo quel modello lui ha certamente vissuto emozioni profonde perché questo succede a chi simpegna a costruire navi dal tragico destino.
Mario racconta, con grande dettaglio, tutte le fasi della costruzione sul sito www.modellisti3.com
Mario, acquistati i disegni in scala 1:50, li ha rielaborati portandoli alla scala 1:33.
In questo modo è riuscito a costruire un modello lungo 135 centimetri e largo 23 centimetri.
Ha usato la tecnica di costruzione a ordinate e fasciame.
Qui riepilogo le operazioni più significative della costruzione rimandando i più interessati a visitare il sito www.modellisti3.com.
Innanzi tutto bisogna costruire lo scheletro interno della nave.
Si comincia con il trasferire i profili delle ordinate (le costole) e il profilo della chiglia, con i dritti di prora e di poppa, sul compensato.
Per fare questo va benissimo la carta per lucidi. Sul piano di costruzione i profili delle ordinate sono rappresentati solo a metà, infatti la nave è, normalmente, simmetrica. Prima si ricalca una metà, poi si trasferisce il mezzo disegno sul legno con una matita lasciando sotto il primo tratto. Poi, rispettando l’asse longitudinale, si capovolge il foglio e si traccia l’altra metà. Sarebbe bello usare della carta da ricalco ma questo materiale, ormai, è difficile da trovare. Tanto vale sfruttare il tratto della matita che va meglio se un po’ grassa.
Dopo aver riportato i disegni, si procede al taglio delle ordinate e della chiglia.
Le ordinate devono essere scaricate internamente in modo da non avere, all’interno dello scafo, paratie trasversali salvo quelle eventualmente necessarie.
Naturalmente devono essere praticati degli incastri in posizione opportuna per consentire l’inserimento delle ordinate nella chiglia e inserire dei listelli d’irrigidimento sulle fiancate e in coperta.
Grande attenzione va posta nel montaggio di questo “scheletro”. Se non sarà ben allineato il modello verrà storto. Una soluzione consiste nel montarlo capovolto, cioè con la chiglia in alto, utilizzando, come base, una tavola alla quale fissare saldamente, con opportuni sostegni, tutti gli elementi nella loro esatta posizione.
Quando questa struttura “fondamentale” sarà pronta, rigida e ben allineata, passiamo al fasciame.
Per quest’operazione si utilizzano, di solito, listelli di tiglio spessi due mm. La larghezza può variare in funzione delle esigenze: più la zona è “stellata” più i listelli devono essere stretti.
Se si costruisce un modello di dimensioni importanti, sul quale esistono zone abbastanza piane, come ad esempio le murate e il fondo, si possono usare pezzi di compensato di betulla, sempre da due mm.
E’ chiaro che questa soluzione è utilizzabile nella costruzione di navi che saranno pitturate. Nel caso di scafi che saranno trattati con vernice trasparente, ad esempio antichi velieri, il rivestimento con listelli dovrà essere assolutamente preciso perché rimarrà visibile.
I listelli del fasciame devono essere incollati alle ordinate e fra loro.
Per tenerli fermi durante l’asciugatura della colla possono essere usati chiodini e mollette.
Le estremità prodiera e poppiera possono essere realizzate con blocchetti di legno pieno.
Quando lo scafo sarà fasciato, dovrà essere levigato, esternamente, per eliminare le imperfezioni. Questo si ottiene con successive carteggiature e stuccature.

Nel prossimo numero vedremo come completare e rendere navigante il “nostro” Artiglio.

seconda parte

Nel numero precedente vi ho raccontato la storia dell’Artiglio e le prime operazioni per costruire la struttura interna del suo modello, costituita dalla chiglia e dalle ordinate.
Poi siamo passati al fasciame e ora ci ritroviamo con uno scafo bello liscio.
Adesso bisogna irrobustirlo e impermeabilizzarlo.
Per questo applichiamo uno strato di tessuto di vetro e resina a due componenti.
Adesso, quando la resina sarà bene asciutta, carteggeremo ancora il nostro scafo e passeremo al montaggio della coperta e alle altre finiture.
All’interno dello scafo sistemeremo i supporti del motore di propulsione, delle batterie e degli accessori che riterremo opportuno installare.
A questo punto è bene fare una considerazione che può essere utile soprattutto ai neofiti.
Un modello navigante deve, innanzi tutto, galleggiare.
Poi deve riuscire a rimanere anche dritto e in un corretto assetto longitudinale.
Com’è brutto vedere un modello che, ad ogni accostata, si abbatte paurosamente su un fianco. In questo caso si tratta di un modello con un equilibrio instabile.
E’ tutta questione di distribuzione di pesi.
Se volete approfondire l’argomento, potete andare sul mio sito www.mitidelmare.it/Galleggiamento_dei_modelli_navali.html e leggervi un articoletto molto semplificato.
In ogni caso basta seguire una regola molto semplice.
Lo scafo, compatibilmente con le esigenze di robustezza, deve essere il più leggero possibile.
Anche le sovrastrutture devono essere leggere. Bisogna usare compensato sottile oppure, nel caso di sovrastrutture complesse, fare dei leggeri telai di legno e poi usare fogli di alluminio da 0,5 mm incollati con colle bicomponenti.
Quando metteremo il nostro modello in acqua s’immergerà pochissimo. Perfetto! Lo faremo scendere alla linea di galleggiamento, cioè lo porteremo al giusto “dislocamento”, aggiungendo pesi sul fondo. Un’ottima soluzione consiste nel fondere blocchetti di piombo opportunamente sagomati e sistemati il più in basso possibile.
Adesso torniamo al modello di Mario.
Qui vediamo una parte molto importante: la poppa.
E’ qui che sono sistemati il timone, cioè l’organo di direzione, e l’elica, l’organo di propulsione.
Il timone, che ruota intorno ad un asse verticale, agisce bene fino ad angoli di 45 gradi per lato.
E’ mosso da un “servo” comandato dal radiocomando.
L’elica è collegata al motore di propulsione attraverso un asse. Il motore deve poter variare la velocità e il senso di rotazione. Questo si ottiene attraverso un regolatore di velocità, normalmente elettronico, comandato, anche questo, dal radiocomando. Sia per il timone sia per il motore servono, naturalmente, comandi proporzionali, ovvero in grado di “modulare” l’azione.
Anche in questo caso voglio aggiungere un paio di considerazioni.
L’asse del timone deve entrare nello scafo attraverso un tubetto verticale, di diametro adeguato e di lunghezza sufficiente a sporgere il più possibile oltre la linea di galleggiamento lasciando solo lo spazio per i collegamenti al servo.
L’asse dell’elica deve entrare nello scafo attraverso un “astuccio” che deve assicurarne la rotazione e impedire l’entrata dell’acqua. Esistono, in commercio, assi con astuccio già completi.
Io uso un sistema molto semplice.
Se ho, ad esempio, un asse del diametro di 4 mm, prendo un tubetto 4/5 mm (4 interno e 5 esterno) e ne ricavo due pezzetti di tre o quattro centimetri. Poi prendo un altro tubetto 5/6 mm e saldo i due pezzetti, a mo’ di boccole, alle estremità interne di questo tubetto. Naturalmente quest’astuccio sarà della lunghezza che serve per il modello in costruzione.
Poi, una volta montato in opera e prima di inserire l’asse, lo riempio con del grasso che ho diluito con olio fine (tipo macchine per cucire). In questo modo l’intercapedine che si trova all’interno sarà piena di grasso che, oltre a lubrificare il tutto, impedirà l’entrata dell’acqua.
Adesso cominciamo a salire e dedichiamoci alla costruzione delle sovrastrutture. E’ una fase che può dare molte soddisfazioni perché dalla loro qualità dipende il risultato dell’intero lavoro.
Torno a ripetere che devono essere molto leggere. In un modello navigante ogni peso è importante e più i pesi sono in alto più gli effetti sulla stabilità sono negativi.
Qui vediamo come Mario ha costruito la timoneria e come abbia curato che fosse molto leggera: notate lo spessore delle pareti e i listelli di balsa agli angoli.
Sul modello devono essere sistemati i ponti. Su un’imbarcazione di dimensioni modeste può esistere un solo ponte che coincide, di norma, con il ponte di coperta.
Sovente, ci sono anche il ponte di comando, il castello di prora, il cassero di poppa, ecc.
Su navi maggiori, soprattutto su navi passeggeri, ci sono ponti passeggiata, ponte sole, ecc.
Poi ci sono le tughe e gli osteriggi. I ponti appoggiano sui bagli, che sono le travi trasversali che uniscono, superiormente, le estremità delle ordinate.
In un modello i ponti possono essere realizzati con compensato di betulla dello spessore di 1 mm. Su navi da carico i ponti sono normalmente pitturati. Su imbarcazioni di pregio o su navi passeggeri i ponti sono rivestiti in teak. In un modello il ponte può essere rivestito con striscioline di impiallaciatura, tagliate a misura e incollate.
Scendendo più nel dettaglio troviamo la ciminiera, che nelle navi maggiori può essere più di una. Le maniche a vento che, nelle navi più vecchie, venivano orientate per funzionare da ventilatori o da estrattori. Poi ci sono le scialuppe con relative gru per la messa a mare. Gli alberi e i picchi di carico.
Ma voi guardate bene il disegno del modello che state costruendo e, possibilmente, le fotografie della nave che volete riprodurre. Trovate i verricelli e le ancore, gli argani, le bitte, i rotoli di cavo, le ciambelle di salvataggio, le biscagline, e via così.
Sono tutti quei particolari che, se ben riprodotti, daranno, al modello, l’aspetto finito e curato che vi darà grande soddisfazione.
La verniciatura. Questo è un passaggio molto importante. Saranno proprio i colori che daranno alla vostra opera l’aspetto finito.
Personalmente preferisco pitturare i modelli con vernice opaca. Mi sembrano più realistici.
Da tempo ho adottato la pittura ad acqua satinata. E’ comoda, non puzza, è facile pulire i pennelli ... e le mani, resiste benissimo anche nei modelli naviganti.
Un piccolo trucco che mi ha insegnato un amico chimico. Bisogna aggiungere, a questa pittura, qualche goccia di detersivo per i piatti. Non ricordo più la sua spiegazione tecnica ma so che funziona: il colore si stende uniforme e non si vedono i segni delle pennellate.
L’artiglio era destinato a un impiego particolare: doveva recuperare materiale da grande profondità.
Per fare questo, abbiamo visto che i bravi palombari viareggini svilupparono attrezzature particolarmente efficaci.

Ma anche il nostro Mario, con la sua fantasia, ha saputo replicare quelle costruzioni ricorrendo a tanti piccoli trucchetti.
Lui ve li spiega bene sul sito www.modellisti3.com.
Io mi limito a proporvi un’immagine iniziale e i due scafandri finiti.
Come vedete il risultato è eccezionale.