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Le navi dell'antichità

Dal tronco d'albero alle navi romane di Duilio Curradi
Articolo pubblicato dal trimestrale di scienza e tecnica Giugno - Agosto 2007 - L'HOBBY DELLA SCIENZA E DELLA TECNICA
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Si può far risalire la nascita della navigazione a quando, nei tempi più remoti, qualcuno notò un tronco d’albero che galleggiava sull’acqua. Poi provò, probabilmente, a salirci sopra e si accorse che poteva farsi trasportare. Prima con le mani, poi con un ramo, poi con qualcosa che cominciò a somigliare sempre più ad un remo, imparò a migliorarne il movimento e a governarne la direzione. Ma stare a cavalcioni di un tronco non doveva essere proprio comodo neppure per i nostri lontani, e probabilmente rustici, antenati. Ecco allora la trovata di scavarlo, di sistemarvi dei sedili, di migliorarne la navigabilità affilandone le estremità in quelle che poi sarebbero diventate la prua e la poppa. Gli scafi erano fatti con i materiali più diversi e risentivano delle disponibilità locali. Si usava il papiro, le canne di bambù, le pelli degli animali, i tronchi d’albero o le tavole unite fra loro.

La navigazione fluviale favorì la crescita delle civiltà. Non a caso le maggiori si svilupparono in Mesopotamia e in Egitto, regioni attraversate da grandi fiumi. Anche sul mare, migliaia di anni fa, marinai ardimentosi si dedicarono ai traffici. Manufatti risalenti a settemila anni a.C. sono stati rinvenuti in isole dell’Egeo raggiungibili solo via mare, dimostrando che già a quell’epoca i greci navigavano in quelle zone. 
Ma se oltre un certo periodo dobbiamo affidarci alla fantasia, dal tempo degli egiziani ci giungono testimonianze certe. Reperti, dipinti, oggetti funebri permettono di individuare, con buona approssimazione, come erano fatte le navi dell’epoca. Proprio in Egitto sono venute alla luce incisioni rupestri che rappresentano imbarcazioni risalenti a 3000 anni a.C. - Alcune di queste usavano anche una vela. Le navi egiziane, lunghe e snelle, avevano uno scafo costituito da tavole legate fra loro con corde vegetali intrecciate. Successivamente, all’interno, venivano sistemate le costole e i bagli, fissati con lo stesso sistema. Per dare robustezza longitudinale allo scafo veniva assicurato un cavo alle estremità prodiera e poppiera che veniva tenuto in forza tramite un bastone infilato e girato fra i legnuoli.


Sprovviste di chiglia erano fragili e non potevano sopportare gli sforzi trasmessi da un albero normale. Veniva perciò utilizzato un albero “bipode” costituito da due aste unite in testa e collegato allo scafo con molti stralli verso poppa e uno solo verso prua. Questo albero reggeva una vela quadra, dotata di due pennoni. Una attrezzatura di questo tipo consentiva però solo la navigazione con vento in poppa o al giardinetto.
Le navi imbarcavano vogatori che intervenivano in mancanza di vento o con vento contrario. I remi erano infilati negli scalmi costituiti da cappi di corda. Il governo era assicurato da remi disposti ai lati della poppa.
I resti di una nave egiziana che trasportava rame dalle miniere del Sinai, 2000 anni a.C., sono stati rinvenuti in Mar Rosso.


Gli studiosi hanno potuto accertare che era lunga 55 metri e larga 20. Aveva un equipaggio di 120 uomini. Nel corso del secondo millennio a.C. le navi egiziane divennero più robuste anche se non furono ancora dotate di chiglia. Questi scafi potevano sopportare un albero semplice che permetteva un migliore orientamento della vela che divenne anche più grande. Fu altresì eliminato il pennone inferiore e furono adottate manovre che permettevano di serrare la vela senza ammainare il pennone superiore. Con navi di questo tipo potevano essere trasportati carichi anche molto pesanti come i grandi blocchi di granito provenienti dalle cave di Assuan. I commerci si svilupparono sempre di più e per secoli l’antico Egitto beneficiò del lucroso traffico marittimo, anche se i suoi marinai non andavano oltre il Mar Rosso e le coste meridionali del Mediterraneo.

Una importante testimonianza del sistema di costruzione usato dagli egiziani ci viene anche dal ritrovamento della nave reale del faraone Cheope, giunta fino a noi in buone condizioni. Gli operai dell’epoca la smontarono in oltre 1200 pezzi e gli archeologi che la trovarono impiegarono ben 10 anni per rimetterla insieme. Fu proprio questa nave che confermò il sistema di costruzione che consisteva nel fissare fra loro le tavole del fasciame, per mezzo di corde di fibra vegetale, e poi fissare all’interno le costole. Questa tecnica fu in seguito adottata anche dai greci e dai romani. Ma se i marinai egiziani non si allontanavano dalla costa, altri, più intraprendenti, si spinsero ben più lontano. 
Nel primo millennio a.C. i Cretesi si avventurarono verso nord e verso occidente fino ai limiti del mondo allora conosciuto. Successivamente furono i Fenici e i Greci a svolgere i maggiori traffici nel Mediterraneo. Una buona descrizione delle navi greche ce la fornisce Omero. Egli racconta che la flotta degli Achei comprendeva galee da 20 e da 50 rematori accompagnate da navi più pesanti con cento rematori per il trasporto delle truppe. Gli scafi erano slanciati e leggermente arcuati. La prua e la poppa, dipinte, erano alte sulla superficie del mare.
A bordo c’erano i banchi dei rematori e i remi erano fissati con corregge di cuoio.

C’era un solo albero, a metà nave, che poteva essere abbassato e sosteneva una sola vela di lino. La galea più grande raggiungeva i 27 metri di lunghezza ed i 6 di larghezza. I relitti ritrovati ci consentono di affermare che dopo il 500 a.C la trireme era diventata la nave principale della flotta greca. Veloce e manovrabile era lunga una quarantina di metri e larga quattro. A bordo c’erano centosettanta rematori che manovravano remi lunghi 5 metri sistemati su tre ordini. Possedeva tre speroni a prua e la poppa era incurvata verso l’interno. Anche la flotta mercantile greca rivestì importanza notevole. Il relitto di una di queste navi, rinvenuta nei pressi di Cipro e databile al 300 a.C., ha permesso di risalire alla forma dell’imbarcazione che misurava 15 metri di lunghezza e 4,5 metri di larghezza. Aveva un albero che sosteneva un pennone di 12 metri che portava una vela quadra di 65 mq. Questa imbarcazione poteva raggiungere la velocità di cinque nodi ed era in grado di trasportare fino a 7 tonnellate di merci.
Altri reperti trovati in Nord Europa testimoniano lo sviluppo delle imbarcazioni anche in quei mari sovente ostili. Fra gli ultimi secoli a.C. e l’inizio del primo millennio, quei costruttori realizzarono sia imbarcazioni rivestite con pelli che scafi il legno, piuttosto robusti, dove cominciavano ad essere usate strutture longitudinali e rivestimenti inchiodati.


Nel 300 a.C. iniziò lo sviluppo della marina romana. Furono inizialmente costruite venti galee destinate a difendere le città costiere dai pirati. Nel 260 a.C. il Senato Romano decise la costruzione di 100 galee a cinque ordini di remi e 200 triremi. Questa flotta doveva contrastare il dominio sul mare detenuto da Cartagine. Le navi cartaginesi erano più manovrabili e i loro equipaggi molto più esperti. Fu in questi scontri che i romani adottarono i corvi, ovvero passerelle dotate di un rampino che, fatto abbattere sulle navi avversarie, le bloccava trasformando lo scontro in un corpo a corpo nel quale i romani potevano prevalere. Successivamente Roma consolidò il suo predominio sul mare e fiorirono i commerci marittimi. Le dimensioni delle navi erano cresciute e potevano trasportare fino a 1200 tonnellate di carico. Avevano una chiglia in legno di quercia e il fasciame era realizzato con legno di abete, di pino o di cedro. Sovente l’opera viva veniva rivestita in piombo. Potevano avere anche due o tre ponti.

I modelli fotografati in questo articolo sono stati realizzati dal Navimodellista Pasquale Montani dopo accurate ricerche storiche anche presso il museo egiziano del Cairo.
Il Signor Montani fa parte dell’A.N.V.O. – Associazione Navimodellisti Valle Olona di Castellana VA.
Altri modelli e informazioni su questa Associazione si trovano sul sito www.anvo.it