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Corazzata Roma
La nave, la storia, il modello
di Duilio Curradi


Articolo pubblicato dal trimestrale di scienza e tecnica n. 18 - Giugno 2010
L'HOBBY DELLA SCIENZA E DELLA TECNICA

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Modello  in
scala 1:100 della
corazzata Roma

Costruttore
Sebastiano
Verdone

A.N.V.O.
Associazione
Navimodellisti
Valle Olona
Castellanza


Il ricordo di questa splendida nave da battaglia è rimasto sempre vivo fra i modellisti navali, che ne hanno costruito numerose riproduzioni. Oggi la Roma torna alla ribalta e richiama l’attenzione del grande pubblico perché dovrebbe essere individuato e fotografato il suo relitto.
Approfittiamo del bellissimo modello di Salvatore Verdone, socio dell’A.N.V.O. – Associazione Navimodellisti Valle Olona di Castellanza (VA) – per ricordarne la storia.
Negli anni Trenta era in vigore il Trattato navale di Washington che fissava a 35.000 tonnellate il limite massimo per le navi da battaglia. Questa imposizione fu però disattesa dall’Italia e la Regia Marina avviò la costruzione delle navi classe Littorio della quale la Roma fu la terza unità. La nave, progettata dall’Ing. Umberto Pugliese, fu costruita dai Cantieri Riuniti dell’Adriatico e consegnata il 14 Giugno 1942. Rappresentava quanto di meglio potesse essere realizzato, all’epoca, in campo navale. Fu posta sotto il comando del Capitano di Vascello Adone del Cima e fece base a La Spezia dove subì due attacchi aerei che la danneggiarono e la costrinsero a lavori di riparazione a Genova.
La Roma, che non fu mai schierata in battaglia, era pronta, all’inizio del Settembre 1943, a salpare con la squadra, agli ordini dell’Ammiraglio Carlo Bergamini, per affrontare la flotta alleata che stava raggiungendo le coste meridionali italiane per proteggere le truppe impegnate nello sbarco di Salerno.
Le vicende dell’armistizio, le cui clausole prevedevano che le navi innalzassero segnali di resa e si consegnassero agli alleati, colsero di sorpresa l’Ammiraglio. Questi, pur obbedendo agli ordini, ottenne di fare rotta per la base navale de La Maddalena, dove avrebbe imbarcato il Re e il governo che vi sarebbero stati trasportati dai cacciatorpediniere Vivaldi e Da Noli che li avrebbero dovuti prelevare a Civitavecchia.
La corazzata Roma, con le insegne di nave ammiraglia, salpò da La Spezia, con altre 18 navi, alle 3 del mattino del 9 settembre. 
La formazione fu raggiunta, dopo tre ore, da altre quattro navi salpate da Genova. La rotta prevedeva di superare Capo Corso, seguire la costa occidentale della Corsica e raggiungere la Maddalena attraverso le Bocche di Bonifacio. Le navi non adottarono le insegne di resa previste ma la Roma alzò il gran pavese.
La formazione navale fu avvistata da un ricognitore inglese e, successivamente da uno tedesco. Le navi avevano ordine di non compiere atti ostili se non attaccate.
Quando le navi si erano già disposte in linea di fila per superare le Bocche di Bonifacio e predisporsi all’arrivo a La Maddalena, Supermarina comunicò che la base era caduta nelle mani dei tedeschi.
La squadra, compiuta un’inversione di 180°, si diresse a ovest. Poco dopo, al largo dell’Asinara, fu raggiunta da una formazione di 28 bimotori Dornier 217, della Luftwaffe, in avvicinamento ad alta quota. Questi aerei erano partiti dalla base di Istrés, nella Francia meridionale.

Scattò l’allarme aereo ma quando da bordo valutarono che gli aerei avevano superato l’angolo di 60°, utile per lo sgancio delle bombe, li ritennero in allontanamento. 
Questi aerei erano però armati con bombe di nuovo tipo, conosciute dagli alleati con il nome di Fritz X, appositamente studiate in funzione anti nave. Queste bombe, da 1400 kg e contenenti 300 kg di esplosivo, erano guidate attraverso un segnale radio ad onde corte. Venivano lanciate da una posizione più verticale rispetto al bersaglio perché erano dotate di un propulsore a razzo che quasi annullava la componente orizzontale dovuta alla velocità dell’aereo. Inoltre il razzo faceva loro raggiungere una velocità di caduta di 300 m/sec, superiore a quella sopportabile anche dalle corazze delle navi maggiori.
Le uniche contromisure, a questo punto, sarebbero stati i sistemi di disturbo della radiofrequenza, ma non erano ancora disponibili.  Le navi reagirono con le armi contraeree ma senza risultato sia per la quota degli aerei che per l’elevato alzo del tiro. Alcune bombe, lanciate verso altre navi, mancarono il bersaglio o provocarono danni sopportabili. La Roma fu colpita da una prima bomba a dritta che perforò la coperta e la murata e andò a scoppiare in mare. L’esplosione mise fuori uso due delle quattro eliche facendo scendere la velocità sotto i 16 nodi. Dopo cinque minuti una seconda bomba colpì la nave fra il torrione di comando e la torre trinata n. 2. Questa, del peso di 1500 tonnellate, volò in mare. L’incendio raggiunse i depositi di munizioni. L’esplosione fu terribile. La torre di comando, corazzata, si deformò cadendo in avanti e uccidendo tutti coloro che vi si trovavano compreso l’Ammiraglio Bergamini. 
Lo scafo si spezzò in due e, in venti minuti, dopo essersi girata sul fianco di dritta, la Roma si capovolse e affondò. Persero la vita 1393 uomini su 2021.  I cacciatorpediniere Mitragliere e Carabiniere invertirono subito la rotta per andare a recuperare i naufraghi. Ad essi si aggiunsero l’incrociatore Attilio Regolo, il cacciatorpediniere Fuciliere, le torpediniere Pegaso, Orsa e Impetuoso. Nel frattempo giunsero in zona il Vivaldi e il Da Noli che, non avendo potuto imbarcare il Re e il governo a Civitavecchia, partiti per Brindisi, avevano ricevuto l’ordine di raggiungere la squadra attraverso le Bocche di Bonifacio. Qui furono attaccate da motosiluranti e batterie costiere tedesche.
Il Da Noli affondò provocando la morte di 228 uomini su 267, il Vivaldi, gravemente danneggiato, proseguì ma affondò dopo aver urtato una mina. Anche i superstiti di queste unità furono recuperati dalle navi già impegnate nel soccorso ai naufraghi della Roma.
Le difficoltà di comunicazione, la scomparsa di molti ufficiali superiori, il rischio di ulteriori attacchi nonché la scarsa autonomia di diverse unità a corto di nafta, costrinsero i comandanti a decisioni estremamente difficili. Parte della flotta superstite, in esecuzione degli ordini di Supermarina, si diresse verso Bona (l’attuale Annaba) per poi andarsi a consegnare a Malta. Le unità che avevano a bordo i naufraghi, fra cui molti feriti in gravi condizioni, si diressero verso le Baleari.
Come detto all’inizio il relitto di quella splendida nave da battaglia che fu la corazzata Roma dovrebbe essere presto localizzato e fotografato. Dalle notizie più recenti risulta che il ricercatore italiano Fernando Cugliari ha dichiarato che i resti della nave si troverebbero a 41°09’870”N - 08°39’090”E.

Il modello della Roma

Questo modello della corazzata Roma, in scala 1:100, è stato costruito da Salvatore Verdone. Si tratta di un modello navigante e radiocomandato.
Il costruttore ha usato la tecnica classica ordinate/fasciame.
Lo scafo e’ stato rivestito con vetroresina.
Dotato di motori elettrici alimentati da batterie al piombo e di radiocomando il modello è in grado di operare in acqua riproducendo le manovre della nave vera.
Le fotografie che corredano questo articolo mostrano anche molti particolari.
Maggiori informazioni sul modello si possono trovare sul sito dell’ANVO (www.anvo.it) e sul sito www.mitidelmare.it.

L’evoluzione delle corazzate

Capostipite delle navi corazzate fu la britannica H.M.S. Dreadnought. Fortemente innovativa dette il proprio nome ad un’intera classe di navi. Lunga oltre 160 metri era armata con 10 cannoni da 305 mm e 27 da 76 mm. Negli anni successivi le corazzate crebbero in dimensioni, armamento e corazzatura. Già nel 1916, nella battaglia dello Jutland, si affrontarono corazzate come la tedesca Lutzow di 28.000 tonnellate e una corazza di 330 mm, la francese Friedrich der Grosse di 24.700 tonnellate, la britannica Lion, di 26.350 tonnellate e armata con 8 cannoni da 343 mm.
Furono messi a punto sistemi per la regolazione del tiro che portarono al comando simultaneo dei cannoni di grosso calibro con decisivo miglioramento della precisione e dell’efficacia del fuoco.
Per quanto riguarda le corazzature si preferì proteggere le parti più sensibili evitando di raggiungere dislocamenti eccessivi. Interessante fu la “struttura ad assorbimento”, ideata dall’ingegner Pugliese. Era costituita da un cilindro molto resistente, pieno di liquido, applicato ai fianchi delle navi. Al suo interno si trovava un cilindro vuoto e poco resistente. Nel caso un siluro lo avesse colpito, l’esplosione sarebbe stata assorbita dalla deformazione del cilindro interno salvaguardando la murata interna della nave.
Le ultime corazzate furono varate nel corso della seconda guerra mondiale. Fra queste si possono ricordare le tedesche Bismarck e Tirpitz, le giapponesi Yamato e Musashi, le americane Missouri e New Jersey. Navi con dislocamenti compresi fra 40.000 e quasi 70.000 tonnellate. Ma queste navi da battaglia, sovente affondate in seguito ad attacchi aerei, mostrarono i loro limiti di fronte all’evoluzione del mezzo aereo e furono sostituite dalle portaerei.

Le caratteristiche della corazzata Roma

Lunghezza f.t. m 240,7
Larghezza f.t. m 32,9
Immersione media m 10,5
Dislocamento 46.215 tonn.

Armamento:

9 Cannoni da 381/50 mm

12 Cannoni da 152/55 mm.
12 Cannoni da 90/50 mm. a.a.
4 Cannoni da 120/40 mm. per tiro illuminante
20 mitragliere da 37/54 mm. a.a.
28 mitragliere da 20/65 mm.
3 aerei


Propulsione:

8 Caldaie tipo Yarrow, a tubi d'acqua subverticali con surriscaldatori
4 Gruppi dì turbine Belluzzo con riduttori
4 eliche tripale
Velocità:  30 nodi


Equipaggio:

Ufficiali: 115
Sottufficiali: 279
Sc. e comuni: 1.627